TheHermit
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Slavery in Islam - Indian, East Asian and Malay Slavery
[JG] Karnonnos
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Schiavitù nell’islam – schiavitù indiana, est asiatica e malese
SCHIAVI INDIANI/ASIATICI
SCHIAVI INDIANI/ASIATICI
حَدَّثَنِي مُحَمَّدُ بْنُ إِسْمَاعِيل بْنِ إِبْرَاهِيمَ، قَالَ: حَدَّثَنَا يَزِيدُ، قَالَ: أَنْبَأَنَا هُشَيْمٌ، قَالَ: حَدَّثَنَا سَيَّارٌ أَبُو الْحَكَمِ، عَنْ جَبْرِ بْنِ عَبِيدَةَ، عَنْ أَبِي هُرَيْرَةَ، قَالَ: وَعَدَنَا رَسُولُ اللَّهِ صَلَّى اللَّهُ عَلَيْهِ وَسَلَّمَ غَزْوَةَ الْهِنْدِ، فَإِنْ أَدْرَكْتُهَا أُنْفِقْ فِيهَا نَفْسِي وَمَالِي، وَإِنْ قُتِلْتُ كُنْتُ أَفْضَلَ الشُّهَدَاءِ، وَإِنْ رَجَعْتُ، فَأَنَا أَبُو هُرَيْرَةَ الْمُحَرَّرُ
È narrato che Abu Hurairah disse: “Il messaggero di Allah (ﷺ) ci promise che avremmo invaso l’India. Se viviamo per vederlo sacrificherò me stesso e la mia ricchezza. Se sono ucciso, sarò uno dei martiri migliori e se torno in vita, sarò Abu Hurairah Al-Muharrar.”
Volume 1, libro 25, Sunan an – Nasai’i, Abu Al – Nasai’i
L’India è stata soggetto a infinite forme di schiavitù islamica.
Un terrore costante e implacabile colpì le persone indù quando le armate musulmane oltrepassarono l’Hindu Kush. Dalla conquista dell’India del nord in poi, la quantità di schiavi in India salì a livelli assurdi dato che a loro, in quanto “pagani” o “mushinkun”, fu assegnato un grande spazio nella mente islamica persino sotto a quello dei cristiani.
Il numero di musulmani probabilmente non superava quello delle centinaia di migliaia. Già ai tempi di Iltutmish, la schiavitù di massa forniva popolazione per le città. La maggior parte delle persone della classe urbana possedeva degli schiavi. Anche i più destituiti possedevano alcuni schiavi. La proporzione padrone – schiavo nel sultanato era quindi di uno a molti.
The Delhi Sultanate: A Slave Society or A Society with Slaves?, Fouzia Farooq Ahmed
Il sultanato di Delhi era un prodotto della schiavitù dall’inizio alla fine, governato da schiavi turchi che furono usati come armata razziale in India e che si ribellarono con successo. Nel sultanato di Delhi, uno stato di schiavi che forzò la schiavitù globale sugli altri, gli schiavi indiani erano così numerosi che erano paragonati all’acquisto di un frutto.
Lo storico arabo al-Utbi nel suo libro Tdrikh al-Yamirii dell’XI secolo documentò che Mahmud di Ghazni occupò Peshawar nel 1001 e catturò circa centomila giovani indù. Di nuovo nel 1019, dopo la sua dodicesima razzia in India, Mahmud tornò con così tanti schiavi indù che il loro valore sul mercato fu ridotto solo da due a dieci dirham a testa. A causa dei prezzi così bassi i commercianti arrivarono a frotte da posti lontani per comprarli e presto molti paesi dell’Asia Centrale, come il Khurasan e l’Iraq, si riempirono di schiavi indù.
Hindu slavery under Islamic dominion in India, Monidipa Bose Dey
Ancora una volta gli schiavi non erano necessariamente ottenuti principalmente tramite la guerra. Molti furono ridotti in schiavitù semplicemente perché non erano in grado di pagare entrate e tasse ridicolmente alte.
La fornitura di popolazione di schiavi nella società avveniva attraverso diversi metodi. La guerra, il commercio, le tasse, l’inadempienza del debito e un’ eredità erano tra i modi principali per ottenere schiavi. Inoltre, ai tempi di Fīrūz Shāh avvenne un reclutamento di massa. Il numero degli schiavi non era statico, fluttuò all’interno del sultanato per via di condizioni politiche interne, fenomeni di guerra, commercio di schiavi internazionale e relazioni con le potenze confinanti.
[…]
I cavalli erano sempre molto più costosi degli schiavi di alta qualità.
[…]
Gli schiavi erano delle macchine umane che, in assenza di tecnologie meccaniche e industriali, venivano usati nel lavoro organizzato su larga scala e per noiosi lavori umili. Erano lo scheletro di molte economie premoderne e l’economia del sultanato di Delhi non faceva eccezione.
The Delhi Sultanate: A Slave Society or A Society with Slaves?, Fouzia Farooq Ahmed
Molti dei progetti di costruzione dell’Asia Centrale citati come una “innovazione dell’islam”, come la bellissima città di Samarcanda, furono alimentati dalla schiavitù islamica degli artigiani e degli operai edili indiani che avevano le competenze e le conoscenze estetiche per creare edifici come quelli, un pozzo che nell’islam si era ben esaurito. Questo non è molto differente dalla moderna Dubai e il modo in cui è stata creata e costruita.
Le dinastie successive non cambiarono molto la situazione dove gli indù, e anche molti musulmani, furono tenuti in un’ambigua posizione tra schiavitù e non schiavitù.
La schiavitù nell’India Moghul era un privilegio degli uomini musulmani sancito dalla legge. Durante il regno dell’ “illuminato” Shah Jahan, il cui predecessore Akbar “provò” formalmente ad abbattere i livelli industriali della schiavitù, molti contadini finirono ad essere schiavi dato che nuovamente non potevano permettersi una elaborata tassa creata per affamarli. Sotto le leggi dello zelota islamico Aurangzeb gli uomini avevano il diritto per legge di fare sesso con ogni ragazza schiava che possedevano o ragazze possedute da altri uomini musulmani, che consentissero o meno. Quasi tutti gli schiavi destinati all’esportazione all’estero finirono in Asia Centrale.
Persino le tasse erano pagate tramite quantità di schiavi al sultano.
Verso il 1600 il lavoro degli schiavi costituiva una piccola parte della forza lavoro, dato che era per lo più ristretto al servizio domestico (dove predominavano normalmente servitori liberi) e al concubinaggio. Akbar fece tentativi degni di nota per proibire il commercio degli schiavi e la schiavitù forzata. Liberò gli schiavi imperiali, che “eccedevano le centinaia e le migliaia”. Ma gli schiavi domestici e le concubine rimasero una parte essenziale non solo delle case aristocratiche ma anche delle case degli ufficiali di basso rango e persino delle persone comuni. Nei suoi versi il satirico Jafar Zatalli suggerì che una piccola famiglia poteva ancora comprendere il padrone, sua moglie, uno schiavo maschio e una ragazza schiava.
The World of Labour in Mughal India, Shireen Moosvi
Gli schiavi in India non erano solo indiani o indù:
Sia l'importazione che l'esportazione avvenivano nei mercati. Oltre a [un] gran numero di schiavi indiani, di cui gli Āsām erano i più apprezzati per il loro fisico robusto, venivano importati schiavi maschi e femmine da altri paesi, tra cui la Cina, il Turkistan, l'Asia centrale, Bisanzio, l'Africa, l'Arabia, la Persia e il Khurāsān. Gli eunuchi furono importati dal Bengala e dalle isole malesi.
The Delhi Sultanate: A Slave Society or A Society with Slaves?, Fouzia Farooq Ahmed
SCHIAVI AUSTRONESIANI/MALESI
L’islam iniziò a penetrare nella Malesia e nell’Indonesia circa nel XIII secolo. Verso il XVIII secolo più della metà della popolazione dell’arcipelago Sulu, circa cinquecentomila persone in totale, fu estimata essere schiava.
Da duecentomila a trecentomila persone furono schiavizzate dagli shciavisti iranun e banguinui.
Anche se ci insegnano che “solo gli europei” dichiaravano guerra a territori a caso, un esploratore arabo chiamato Syarif Alkadrie dallo Yemen, si scatenò all’epoca di Napoleone riducendo in schiavitù un numero infinito di musulmani nel Borneo e fondando il sultanato di Pontianak.
Un oggetto della predazione islamica fu il Giappone. Si stima che centinaia di migliaia di ragazze giapponesi furono rapite dalle coste dello shogunato e persino nel periodo imperiale per renderele schiave dai musulmani in Indonesia, Malesia e tra le popolazioni cham del Vietnam.
Nuovamente, non era uno scambio a senso unico. Un sultano della moderna Arabia Saudita, Ali bin Hussein, aveva da venti a trenta ragazze giapponesi nel suo stesso harem.
Volume 1, libro 25, Sunan an – Nasai’i, Abu Al – Nasai’i
L’India è stata soggetto a infinite forme di schiavitù islamica.
Un terrore costante e implacabile colpì le persone indù quando le armate musulmane oltrepassarono l’Hindu Kush. Dalla conquista dell’India del nord in poi, la quantità di schiavi in India salì a livelli assurdi dato che a loro, in quanto “pagani” o “mushinkun”, fu assegnato un grande spazio nella mente islamica persino sotto a quello dei cristiani.
Il numero di musulmani probabilmente non superava quello delle centinaia di migliaia. Già ai tempi di Iltutmish, la schiavitù di massa forniva popolazione per le città. La maggior parte delle persone della classe urbana possedeva degli schiavi. Anche i più destituiti possedevano alcuni schiavi. La proporzione padrone – schiavo nel sultanato era quindi di uno a molti.
The Delhi Sultanate: A Slave Society or A Society with Slaves?, Fouzia Farooq Ahmed
Il sultanato di Delhi era un prodotto della schiavitù dall’inizio alla fine, governato da schiavi turchi che furono usati come armata razziale in India e che si ribellarono con successo. Nel sultanato di Delhi, uno stato di schiavi che forzò la schiavitù globale sugli altri, gli schiavi indiani erano così numerosi che erano paragonati all’acquisto di un frutto.
Lo storico arabo al-Utbi nel suo libro Tdrikh al-Yamirii dell’XI secolo documentò che Mahmud di Ghazni occupò Peshawar nel 1001 e catturò circa centomila giovani indù. Di nuovo nel 1019, dopo la sua dodicesima razzia in India, Mahmud tornò con così tanti schiavi indù che il loro valore sul mercato fu ridotto solo da due a dieci dirham a testa. A causa dei prezzi così bassi i commercianti arrivarono a frotte da posti lontani per comprarli e presto molti paesi dell’Asia Centrale, come il Khurasan e l’Iraq, si riempirono di schiavi indù.
Hindu slavery under Islamic dominion in India, Monidipa Bose Dey
Ancora una volta gli schiavi non erano necessariamente ottenuti principalmente tramite la guerra. Molti furono ridotti in schiavitù semplicemente perché non erano in grado di pagare entrate e tasse ridicolmente alte.
La fornitura di popolazione di schiavi nella società avveniva attraverso diversi metodi. La guerra, il commercio, le tasse, l’inadempienza del debito e un’ eredità erano tra i modi principali per ottenere schiavi. Inoltre, ai tempi di Fīrūz Shāh avvenne un reclutamento di massa. Il numero degli schiavi non era statico, fluttuò all’interno del sultanato per via di condizioni politiche interne, fenomeni di guerra, commercio di schiavi internazionale e relazioni con le potenze confinanti.
[…]
I cavalli erano sempre molto più costosi degli schiavi di alta qualità.
[…]
Gli schiavi erano delle macchine umane che, in assenza di tecnologie meccaniche e industriali, venivano usati nel lavoro organizzato su larga scala e per noiosi lavori umili. Erano lo scheletro di molte economie premoderne e l’economia del sultanato di Delhi non faceva eccezione.
The Delhi Sultanate: A Slave Society or A Society with Slaves?, Fouzia Farooq Ahmed
Molti dei progetti di costruzione dell’Asia Centrale citati come una “innovazione dell’islam”, come la bellissima città di Samarcanda, furono alimentati dalla schiavitù islamica degli artigiani e degli operai edili indiani che avevano le competenze e le conoscenze estetiche per creare edifici come quelli, un pozzo che nell’islam si era ben esaurito. Questo non è molto differente dalla moderna Dubai e il modo in cui è stata creata e costruita.
Le dinastie successive non cambiarono molto la situazione dove gli indù, e anche molti musulmani, furono tenuti in un’ambigua posizione tra schiavitù e non schiavitù.
La schiavitù nell’India Moghul era un privilegio degli uomini musulmani sancito dalla legge. Durante il regno dell’ “illuminato” Shah Jahan, il cui predecessore Akbar “provò” formalmente ad abbattere i livelli industriali della schiavitù, molti contadini finirono ad essere schiavi dato che nuovamente non potevano permettersi una elaborata tassa creata per affamarli. Sotto le leggi dello zelota islamico Aurangzeb gli uomini avevano il diritto per legge di fare sesso con ogni ragazza schiava che possedevano o ragazze possedute da altri uomini musulmani, che consentissero o meno. Quasi tutti gli schiavi destinati all’esportazione all’estero finirono in Asia Centrale.
Persino le tasse erano pagate tramite quantità di schiavi al sultano.
Verso il 1600 il lavoro degli schiavi costituiva una piccola parte della forza lavoro, dato che era per lo più ristretto al servizio domestico (dove predominavano normalmente servitori liberi) e al concubinaggio. Akbar fece tentativi degni di nota per proibire il commercio degli schiavi e la schiavitù forzata. Liberò gli schiavi imperiali, che “eccedevano le centinaia e le migliaia”. Ma gli schiavi domestici e le concubine rimasero una parte essenziale non solo delle case aristocratiche ma anche delle case degli ufficiali di basso rango e persino delle persone comuni. Nei suoi versi il satirico Jafar Zatalli suggerì che una piccola famiglia poteva ancora comprendere il padrone, sua moglie, uno schiavo maschio e una ragazza schiava.
The World of Labour in Mughal India, Shireen Moosvi
Gli schiavi in India non erano solo indiani o indù:
Sia l'importazione che l'esportazione avvenivano nei mercati. Oltre a [un] gran numero di schiavi indiani, di cui gli Āsām erano i più apprezzati per il loro fisico robusto, venivano importati schiavi maschi e femmine da altri paesi, tra cui la Cina, il Turkistan, l'Asia centrale, Bisanzio, l'Africa, l'Arabia, la Persia e il Khurāsān. Gli eunuchi furono importati dal Bengala e dalle isole malesi.
The Delhi Sultanate: A Slave Society or A Society with Slaves?, Fouzia Farooq Ahmed
SCHIAVI AUSTRONESIANI/MALESI
L’islam iniziò a penetrare nella Malesia e nell’Indonesia circa nel XIII secolo. Verso il XVIII secolo più della metà della popolazione dell’arcipelago Sulu, circa cinquecentomila persone in totale, fu estimata essere schiava.
Da duecentomila a trecentomila persone furono schiavizzate dagli shciavisti iranun e banguinui.
Anche se ci insegnano che “solo gli europei” dichiaravano guerra a territori a caso, un esploratore arabo chiamato Syarif Alkadrie dallo Yemen, si scatenò all’epoca di Napoleone riducendo in schiavitù un numero infinito di musulmani nel Borneo e fondando il sultanato di Pontianak.
Un oggetto della predazione islamica fu il Giappone. Si stima che centinaia di migliaia di ragazze giapponesi furono rapite dalle coste dello shogunato e persino nel periodo imperiale per renderele schiave dai musulmani in Indonesia, Malesia e tra le popolazioni cham del Vietnam.
Nuovamente, non era uno scambio a senso unico. Un sultano della moderna Arabia Saudita, Ali bin Hussein, aveva da venti a trenta ragazze giapponesi nel suo stesso harem.